Sono vecchio, c'è poco da dire. Professionalmente parlando, 15 anni di servizio sono una fucilata specialmente se li si considera nello stesso settore. Eppure dopo così tanto tempo l'amore per i videogiochi è sempre rimasto lo stesso e, se possibile, è aumentato come sono aumentate le soddisfazioni, le persone conosciute, le cose fatte. Ho avuto la fortuna di iniziare in un momento molto particolare a cui guardo oggi con gli occhi di chi ha avuto il privilegio di occuparsi più o meno di ogni aspetto della complicata filiera di cui tutti, per una serie di motivi, si sentono in dovere e in diritto di parlare.
Dal 2006, fatta eccezione per la parentesi Eurogamer che ho aperto e diretto qui in Italia, oltre alle numerose collaborazioni spot con la stampa generalista, ho comunque saltato la barricata capendo quale realmente sia la strada che mi piacerebbe continuare a percorrere: lo sviluppo, il publishing, fare videogiochi. Eppure nasco giornalista e giornalista resterò (tralasciando il discorso tesserino, intendo). E il giornalismo è sicuramente mutato profondamente, se si parla di videogiochi, rispetto a quando ho iniziato. Già quando entrai in redazione, nel lontano 2001, quelli che avevano cominciato secoli prima (la prima mandata di TGM, K e compagnia) guardavano noi nuovi con uno scetticismo per molti versi giustificato. L'editoria di settore si stava strutturando, c'erano dei referenti con cui parlare, le aziende cominciavano ad aprire. Prendeva forma un movimento che sarebbe poi cresciuto a dismisura con il passare degli anni. La cosa che era rimasta identica, rispetto al passato più o meno recente, è che si trattava di un ambiente completamente chiuso, fatto di pochi attori e dominato da un paio di attori importanti che mandavano fuori ogni mese riviste per un target molto preciso, che quelle riviste le cercava. Il web, de facto, non esisteva. All'epoca entrare in una redazione era sostanzialmente impossibile o quantomeno molto molto difficile. Il collaboratore esterno era cosa rara e tutto era concentrato nel day by day della reda, dove publisher e software house si rivolgevano per i loro press tour, per l'invio codici e via dicendo. La giornata in redazione iniziava con le riunioni del caso e trascorreva tra la sala prove e la scrivania.
Anyway, ho sempre ignorato YouTube ma ho dovuto farci i conti per una serie di motivi. Con il lancio di NERO, per esempio, ho seguito tanti influencer stranieri da cui abbiamo ricevuto un gran rientro in termini di contatti, ben oltre le metriche che aspettavo. Per l'Italia invece, sono andato a vedermi FaviJ che è per ovvi motivi il bersaglio dell'odio di tutti e ho sentito delle cazzate allucinanti in relazione a un diciottenne che si è semplicemente trovato nel posto giusto al momento giusto, venendo poi trasformato in un'operazione commerciale spaventosamente efficace da un'agenzia che ha tratto il meglio da un ragazzino neanche troppo stupido che oggi è ovunque e per molti è diventato il più grosso esperto di videogiochi in Italia (che poi Repubblica gli dia la home del sito, facendo passare questo messaggio, ecco, è un altro problema). Chi altro poi? Ho visto qualche video di Cicciogamer, avvistato al Drago D'Oro un paio di anni fa e di tale Zeb,uno visibilmente ritardato anche a telecamera spenta, che tra tutti è forse il problema più grosso perchè invece di giocare e limitarsi a dare opinioni su questo o quel prodotto, si è permesso di parlare di development, di come si tira su un gioco o di come si sviluppa. Ma nessuno in quel caso ha fiatato. Menzione d'onore per Sabrina che conosco invece dai tempi di Videogames Party e che (per sbaglio) ho seguito dal primo video fatto qualche tempo fa sul suo canale, oggi arrivato ad oltre 100.000 iscritti (messa in apertura in quanto pheega, of course). Ho letto cose allucinanti relativamente ai suoi video. Robe su la dignità della donna piuttosto che del gamer (che già questa...) che hanno alimentato discussioni inutili sui social e che danno la misura di una situazione che è quasi limitante definire ridicola. Io vedo una persona che si diverte e che fa divertire un target molto preciso, tanto quanto quello identificabile nell'appassionato che sta lì a guardare un ciccione spacchettare Uncharted illustrando la bellezza della statuetta contenuta nella limited che mi potevo guardare da solo con Google. La verità è che la gente, dovrebbe imparare a farsi i cazzi suoi e a comprendere che il mondo è bello soprattutto perchè è vario. E che c'è spazio per tutti. C'è poi chi viene premiato e chi no, chi guadagna e chi no, chi si diverte e chi no. Sicuramente uno youtuber in più non può fare più danni di un giornalista o di un esperto o di un critico o di come volete chiamarlo. Anche se magari può sembrare il contrario.
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