POKÈMON GO, ITALIA, ANNO 2010: SI CHIAMAVA MONSTER SAYS (E OVVIAMENTE NON È STATO FATTO)
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Alberto Belli
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Di occasioni sprecate in una vita ce ne sono sempre tante. Il mondo del lavoro non fa eccezione sicuramente però ci sono dei casi piuttosto clamorosi. Badate bene, questo post non è whine come qualche stupidino penserà ma piuttosto solo il voler raccontare una storia. Per certi versi molto bella. Per altri drammatica.
Pokèmon Go è il fenomeno del momento: dall'uscita ha superato Twitter come numero di utenti, è il fenomeno internet del momento addirittura oltre il porno con tanto di complimenti da YouPorn per Nintendo e ha portato la compagnia nipponica ad un +35% in borsa con tutto quello che ne consegue. I social sono tutti un meme, fioccano gli aneddoti: dai rapinatori che adescavano le vittime con la geolocalizzazione al ristoratore diventato ricco avendo una palestra all'interno dell'attività. Una roba di quelle che cambiano tutto costruita attorno a un concept stronzissimo: colleziona tutto il collezionabile, utilizzando la realtà aumentata e andando in giro con il telefonino. Si parla di circa 200.000.000 di fatturato mensile extra per la grande N, poco dopo aver ricordato la scomparsa dell'eterno Iwata avvenuta poco più di un anno fa. Tutto questo pistolotto per dire cosa? Niente di particolare, tranne che il design paro paro del gioco, era stato pitchato nel 2010 in Reply e cassato perchè ritenuto "non prioritario". Ora, come dicevo, lungi da me voler solo pensare che nel mondo prima di oggi non ci sia stato qualcuno con la stessa idea così come lungi da me pensare che con un pitch approvato, si sarebbe mai potuti arrivare all'epicità di questi giorni ma resta il fatto che qui sul mio PC ci sono delle slide che quantomeno fanno sorridere. L'idea l'aveva avuta il buon Fabio Pagetti che in Reply fa (ancora) il designer.
Fabio è uno bravo che ha lavorato tanto tempo in Ubisoft su giochi anche molto pesi che ho avuto il piacere di infilare in Forge un giorno, per caso, dopo aver visto che mi aveva lurkato il profilo LinkedIn. L'ho chiamato è venuto nell'ufficio di Ripamonti (il primo, un posto brutto dove stavamo di passaggio tra scatoloni e gente inutile) ed è stato assunto poco dopo. Tra un Lupo Solitario a cui stare dietro (che pure in quel caso...) e una marea di mondezza B2B da fare, qualche idea buttata lì tra cui Monster Says. E cosa sarebbe Monster Says? Anzi, cosa era? Pokèmon Go. Paro paro, solo pensato 6 anni prima e shippato almeno un lustro in anticipo rispetto a quello di Niantic, considerando i tempi di sviluppo. Un prodotto pensato nell'ottica della fattibilità, sfruttando poi le risorse di un gruppo che aveva (e ha ancora) tutte le entry per spaccare in ambito mobile utilizzando tutta una serie di tecnologie note (già al tempo) grazie al coinvolgimento in progetti internazionali pesissimi basati proprio su tutte le caratteristiche al centro del discorso. Poche slide che fanno pensare che ci vuole anche un po' di culo, il giusto timing e qualche mente illuminata al posto giusto quando serve. Cosa che succede raramente.
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