[XBOX ONE REVIEW] PILLARS OF ETERNITY: COMPLETE EDITION



Tra il 1996 e il 1998 è tutto cambiato, parlando della mia vita da videogiocatore. E pure se teoricamente dovremmo parlare di una recensione di un videogioco, in questo caso, credo sia pure inutile stare a discutere di questo e di quello, di classi e incantesimi, di grafica e di gameplay. Qui si parla di altro. E non posso evitare di tornare a quegli anni lì, perché tra il 1996 e il 1998 tutto è cambiato. Sul serio.
Di come l’Amiga entrata in casa sia stata l’inizio di tutto ho già detto più volte. Comunione, 1989, 500 1.3 con 1MB di espansione, TV Tuner a 12 canali, monitor da 14” e un pokerissimo di giochi super power. Ma delle mie estati nerd da ragazzino sapete meno. Ovviamente pure in quel caso, l’Amiga stava sull trono: ce l’avevamo io e Francesco, gli altri sfigati avevano il C64 e se lo facevano bastare. Io ero il più piccolo e di nerd, in realtà, avevo poco. Ma come poi è sempre stato dopo, mi sono sempre trovato a metà con le frequentazioni, le abitudini, le passioni: ho sempre avuto amici inguardabili, nerd, teoricamente sfigati. Ma pure amici fichi, sempre in giro. E mi sono sempre destreggiato nella doppia versione di me stesso, facendo beatamente i cazzi miei senza ascoltare nessuno. L’estate, prima che si accorciasse causa ritiri calcistici, era il periodo migliore per ovvi motivi: la scuola finiva a giugno, dal giorno dopo me ne andavo al mare, tornavo il giorno prima che il nuovo anno iniziasse. Sempre. La chiusura dell’estate, per l’esattezza, era l’arrivo del compleanno di Massi (Massimiliano) e di Francesco (quello sopra) che il 12 e il 14 settembre festeggiavano dall'alto dei loro due anni più di me (1977 loro, 1979 io). Due anni a quell'età sono un’enormità ma io quelli più piccoli li schifavo ed ero già mediamente più sveglio dei coetanei. Risultato: la giornata tipo in quel di Cerenova Costantica, Marina di Cerveteri, era che al mattino all'alba me ne andavo al mare con quelli fichi, rientro a casa a pranzo, GDR vari dalle 14 a ora di cena. Serata alle giostre in mezzo ai cabinati, in sala giochi o dove capitava. Cookie Snack alla mano. Insomma a metà come dicevo.


Dagli 8 ai 14 anni di base, prima dei famosi ritiri, è stato sempre così. Eravamo un gruppo di 20 persone, tutte sulla stessa via, equamente divise. E io nel mezzo. C’era un mio amico, Marco, che faceva il Master. Era più grande, madre mezza inglese, parlava la lingua. Abbiamo iniziato con D&D ovviamente, siamo passati che non avevo 10 anni a Rolemaster. Duemila libri in inglese peso, vocabolario alla mano. Ho imparato così. E che c’entrano il ’96, il ’97 e il ’98? C’entrano perché se da ragazzino ho iniziato a viaggiare con i Pen & Paper, è pure inutile ricordarvi quanto fosse un gioco di immaginazione godersi videogiochi che avevano dei limiti tecnici importanti anche se li guardavamo con gli occhi dell’amore. C’era tutto il portfolio TSR in casa Commodore anche se il ricordo più vivido era Dragon Strike che sposava fantasy e simulatori di volo in una botta sola. Una roba maestosa. Tanta fantasia dunque e chissà come sarà tra qualche anno. Poi, appunto, arriva il 1996 ed esce Daggerfall. La fine di tutto. La trama non lineare, l’open world, la grafica allucinante. Su Skyrim ho fatto 300 ore, su Oblivion e Morrowind pure. Ho paura nel pensare di immaginare a quanto arrivai a Daggerfall perché non credo sia quantificabile. Poi il 1997, Ultima Online. Di questo pure ho parlato parecchio e, in sintesi, UO era lo step successivo, l’esperienza ludica a cui ho dedicato probabilmente più tempo perché è durata 10 anni anche se con ritmi diversi da quando ero colto dal sacro fuoco. Poi il 1998, Baldur’s Gate. Meno di Daggerfall a livello di ciccia ma oh: l’isometrico è un’altra roba, Dungeons & Dragons pure, i Forgotten Realms come dovevano essere. Drizzt, santoddio! Tutto in un gioco solo. Tutte le mie fantasie in un triennio irripetibile. I giochi della mia vita.


Passano 20 anni e i videogiochi li sviluppo. Passano 20 anni e sviluppo un prodotto che prende tutto da queste esperienze, insieme a una figura mitologica del development che non solo lavora con me ma che ha iniziato pure lui allo stesso modo, dando forma poi a una serie di giochi che sono poi delle pietre miliari per un genere intero (parlo di Chris ovviamente). La vita è proprio strana. Ed è per questo che dopoil più lungo cappello della storia, c’è da spendere due parole su Pillars of Eternity, che era lì che giaceva nel mio backlog PC e che sono riuscito a spararmi alla fine su Xbox One, grazie ad Halifax che ha portato in distribuzione il pacchettizzato di Paradox in versione Complete Edition, con il DLC White March incluso. A proposito di stranezze della vita: Halifax nel 1998 aveva distribuito Baldur’s Gate. Tutto torna. Pillars of Eternity è quindi qualcosa che per me rappresenta un atto d’amore verso un periodo intero dei videogiochi e della vita e che trascende i parametri tradizionali di valutazione quindi metto le mani avanti. Pillars of Eternity ha sostituito Baldur’s Gate nel mio cuoricino, cosa non riuscita mai ad altri che ci hanno provato. Pillars of Eternity è un gioco di cui ho voglia di parlare, senza aver ancora terminato la main quest, dopo 150 ore che mi hanno portato all'Atto II, in cui mi sono perso facendo avanti e indietro per la mappa, parlando con tutti, esplorando ogni anfratto, immaginando. Come quando ero ragazzino. Che volete che vi dica? Obsidian per me è un modello da seguire per tante ragioni, parlando di sviluppo. Pillars è un gioco che rappresenta tanto anche per quel che ha smosso su Kickstarter e per la sua gestazione. C’è un documetario magnifico su YouTube, The Road to Eternity, che mi ha fatto sentire ancora più vicino a questa produzione che, vestendo un attimo i panni dell’imparziale, è di livello top anche se non perfetta (potete vederlo qui sopra). C’è qualche piccola sbavatura, caricamenti fastidiosi come pochi e il fatto che usare il pad, come la giri la giri, non sarà mai uguale a mouse e tastiera ma oh, i panni dell’imparziale non si possono vestire quando si toccano certe corde.


Non c’è quindi da discutere del gioco, del numero di incantesimi, dei personaggi meravigliosi e neanche della trama perché ogni cosa sarebbe spoiler e sarebbe come abbassare il livello in un certo senso. Non c’è neanche da discutere di scrittura, art e via dicendo. C’è solo il cercar di capire che intendo via, perché se avete sentito una vibrazione nella forza leggendo, significa che siamo allineati. Per essere allineati, un’età comunque dovreste averla perché si tratta di empatia e di robe che un millenial, con tutta la buona volontà, vedrà sempre in maniera un po’ distorta. Giusto per tranquillizzare pure loro però: la localizzazione c’è belli di mamma, il gioco è in italiano, potete addirittura capire quel che succede e apprezzare senza sbattimenti (fosse mai). Anzi, la traduzione in italiano è probabilmente una delle migliori (oggettivamente) con cui ho avuto a che fare negli ultimi 15 anni. Veramente top. Non parliamo di Torment e dei suoi lunghi e cervellotici discorsi. Parliamo di una vicenda snella e appassionante, epica e avvincente, in un mondo tutto nuovo che è poi il mondo su cui Obsidian ha puntato per il futuro, con il nuovo Deadfire e con molte cose che dovranno ancora arrivare. Insomma, la recensione è questa qui. Fatevela bastare. Il voto pure, non poteva essere altrimenti. I millenials e chi non ci capisce una fava, può abbassare fino a 2 punti.

VOTO 10/10

No comments:

Post a Comment

Questo form è per dire la tua. Ricordati di registrarti con il tuo account Twitter/Google con un bel click sul colonnino a destra "Unisciti al sito". Pensa che è gratis e fa pure figo!

CONTACT ME

Name

Email *

Message *